sábado, 24 de noviembre de 2018

OLORES DE DESTRUCCIÓN MASIVA


Emilio estaba muy atento a Carla.
Carla era la campeona de dardos de la ciudad.
Aquel era un día muy importante para ella, porque el liderazgo estaba en juego.
Pero le había surgido una gran rival, Mariantonieta.
Mariantonieta era una total desconocida que había empezado el campeonato sin que nadie apostara por ella, pero que había llegado a la final.
Y ahora, le tocaba medirse con la actual campeona, Carla.
Emilio estaba enamorado de Carla.
La apoyaría hasta el final.
Entonces, Carla lanzó.
Tres dardos estaban muy cerca del centro.
Y uno fuera.
Hizo 27 puntos.
Era una buena marca.
Su amor estaba sudando.
Emilio quería abrazarla para darle valor, pero ella lo rechazó, estaba más interesada en lo que haría Mariantonieta, que parecía tranquila.
─ Si no pierde la concentración, puede ganarme ─dijo Carla entre dientes.
Emilio oyó esas palabras.
Haría lo que fuera mejor para que ganara su amor.
Y yo sabía cómo.
Se alejó de Carla y lentamente se acercó a Mariantonieta.
Mariantonieta observaba la diana como si fuera una tarta de nata, porque se relamía.
Hacía cálculos
Sí, era realmente bueno.
Entonces Emilio puso en marcha su plan de "desconcentración".
Primero, se quitó un zapato.
Luego, el otro.
No se quitó más, porque solo tenía dos pies.
De repente, alrededor de Mariantonieta empezó a expandirse un olor muy fuerte a pies.
La gente alrededor se alejó.
Era insoportable.
Algunos tosieron ​​y alguien incluso se desmayó.
El propietario del bar donde se realizaba el concurso llamó a los bomberos y a la unidad de prevención de la guerra biológica.
Sin embargo, Mariantonieta no pareció darse cuenta de esa peste.
Tampoco perdía la concentración ni por un segundo.
Lanzó el primer dardo.
Lanzó el segundo dardo.
Lanzó el tercer dardo.
Lanzó el cuarto dardo.
Los cuatro fueron directamente al centro.
Cuarenta puntos.
El máximo
No había más gente para aplaudir, el público que no había huido o desaparecido estaba a más de diez metros de Mariantonieta.
Solo Emilio estaba al lado, porque era inmune a su propio olor a pies.
Incluso se diría que le gustaba.
Por eso, no pudo evitar la curiosidad y, después de calzarse los zapatos, preguntó:
─ Oye, ¿cómo no te molesta el olor a podredumbre de pies? ¿No tienes olfato?
─ Nada de eso ─respondió ella─. Lo que pasa es que este olorcillo es muy suave comparado con otro olor que conozco.
─ ¿Con cuál? ─preguntó Emilio muerto de curiosidad.
Ahí Mariantonieta se quitó los zapatos y dijo:
─ Con este.
Todos los presentes en la sala huyeron escopetados conteniendo el aliento.
Ni siquiera cinco autobuses en la sala habrían producido esa peste.
Emilio, sin embargo, tuvo que ser hospitalizado por intoxicación, porque él era la persona que estaba más cerca de la fuente de olor.
Las unidades de prevención de ataques biológicos han puesto a toda la ciudad en cuarentena.
Todo la atmósfera de la ciudad estaba contaminada.
De Mariantonieta, ya nadie supo nada más.
Y es una pena, porque, aunque le oliesen así los pies, era realmente buena lanzando dardos.

© Frantz Ferentz, 2018

miércoles, 21 de noviembre de 2018

CUANDO JULIA LLEGA TARDE | PERCHÉ GIULIA FA SEMPRE TARDI

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[IT]*


   C’era una volta Giulia, una ragazza come ce ne sono tante, ma che si differenziava da tutte perché faceva sempre tardi.
   Sempre, sempre, sempre…
   Questo suo costante fare tardi era quasi uno scandalo per i membri della sua famiglia, poiché loro erano tutti puntualissimi.
   Suo padre, per esempio, era così puntuale da essere paragonabile a un orologio svizzero, tanto che quando parlava usava spesso la parola “cucù”.
   Ma la tendenza di Giulia a fare tardi infastidiva anche tutte le altre persone che non appartenevano alla sua famiglia, ma che si trovavano a subire i suoi ritardi, soprattutto perché lei li giustificava sempre con delle scuse assurde.
    Ce n’erano a centinaia!
  Giulia poteva dire, per esempio: “Oggi sono in ritardo perché la via nella quale camminavo è crollata e il traffico si è interrotto”.
   Oppure: “Oggi sono in ritardo perché l’universo è impazzito e il giorno è diventato notte, quindi non si vedeva nulla...”.
   Oppure ancora: “Oggi un coccodrillo è sceso da un autobus e si è messo a ballare in mezzo alla strada, quindi c’era un intasamento enorme…”.
   A casa sua le dicevano che non poteva continuare così, che la puntualità era una caratteristica della loro famiglia, conosciuta in città come la famiglia più puntuale di tutte.
   “Se arrivi in ritardo,” le spiegava la nonna Bernardina, “fai credere a chi ti aspetta che non te ne importa niente”.
   “Non è vero, nonna, davvero io non faccio tardi perché voglio” si lamentava Giulia.
   E al liceo era ancora peggio.
   La professoressa Findelmondo non faceva altro che punire Giulia per i suoi continui ritardi.
   “Non sarai mai una persona adulta e seria se non arrivi in tempo!” le diceva spesso.
   “Ma non è colpa mia, prof” si scusava lei.
   Un giorno, per giustificare il suo ritardo, era arrivata a dire: “Oggi, per esempio, non sono arrivata a scuola in tempo perché è caduto il cielo sulla terra…”.
   E quel giorno, la professoressa Findelmondo le aveva risposto: “Se tu avessi tanta serietà quanta immaginazione, saresti la più brava studentessa del liceo”.
   Quelle parole avevano reso Giulia abbastanza triste.
   Nessuno credeva alle giustificazioni che lei usava per i suoi ritardi.
   Tutti pensavano che lei fosse una bugiarda, ma non era vero!
   E poi non arrivava in ritardo perché le faceva piacere!
   In ogni caso, quel giorno, la professoressa Findelmondo chiamò i genitori di Giulia.
   “Signore e signora Rossi,” disse “credo che anche voi, come me, siate molto preoccupati per vostra figlia che arriva sempre in ritardo, vero?”.
   La mamma di Giulia rispose semplicemente di sì, mentre il babbo fece “cucù” per dare la sua conferma.
   “Vi propongo allora di scoprire cosa le capita davvero” continuò la professoressa rivolgendosi ai genitori. “Ho un piano, ma per poterlo sviluppare avrò bisogno del vostro aiuto”.
   “Di che cosa si tratta?” chiese la mamma.
   “Metteremo una microcamera nel cappello di lana di Giulia per vedere quali sono i veri motivi per cui lei è sempre in ritardo. Cosa ne dite?” disse la professoressa, sorridendo.
   Il babbo fece “cucù”… significava che era d’accordo.
   E anche alla mamma sembrava un’ottima idea.
  Tornati a casa, i genitori di Giulia misero una microcamera nel suo cappellino di lana senza che lei se ne accorgesse.
   E così passarono tre giorni.
   In quei tre giorni, Giulia fece tardi in tre occasioni.
   “Perché hai fatto tardi, Giulia?” chiese la mamma il terzo giorno.
   Giulia spiegò: “La prima volta, un dinosauro mi ha chiesto l’ora, ma siccome era abbastanza sordo, non mi sentiva, quindi l’ho accompagnato fino alla piazza del Comune perché lui vedesse l’orologio grande.
   La seconda volta, la terra ha fatto un singhiozzo orribile e la strada si è sollevata di diversi metri.
   Quindi hanno bloccato la circolazione anche per i pedoni.
   Tutti quanti eravamo spaventatissimi.
   La terza volta, l’aereo blu è proprio venuto in ritardo, quindi non sono riuscita ad arrivare a scuola in tempo”.
   La mamma di Giulia era arrabbiatissima, sua figlia continuava a trovare tantissime scuse assurde per giustificare i suoi ritardi, addirittura si era inventata che era andata a scuola con un aereo blu.
   Un aereo!
   E ne aveva specificato perfino il colore: non rosso, né verde, né giallo, ma blu…
 La povera donna doveva riconoscere che la fantasia di sua figlia arrivava a toccare estremi incredibili. 
   E così, senza dire una parola, prese Giulia per un braccio e insieme a suo marito andarono tutte e tre dalla professoressa Findelmondo.
   Giunti nell’ufficio della professoressa,  la signora Rossi disse: “Adesso potremo vedere perché mia figlia fa veramente sempre tardi”.
  E consegnò la microcamera alla professoressa. La professoressa mise la memoria USB della microcamera nel PC e le immagini registrate cominciarono a scorrere.
   Come prima cosa videro un signore con un costume di T-Rex che andava a una festa di Carnevale e che chiedeva l’ora a Giulia.
 Ma con quel costume addosso, il signore non sentiva nulla quindi videro Giulia che lo accompagnava nella piazza del Comune perché il signore stesso vedesse l’ora.
  Poi videro che mentre Giulia camminava tranquillamente sul marciapiede ci fu un’esplosione sotterranea di gas.
   Tutta la pavimentazione era saltata in aria lasciando un bel buco.
   E la polizia, arrivata immediatamente, aveva bloccato la circolazione.
   L’ultima immagine era quella di Giulia giunta finalmente alla fermata dell’autobus.
  Il bus aveva impiegato molto tempo per arrivare e, una volta giunto, si poteva vedere che sulla fiancata c’era scritto: “Compagnia di autobus ‘L’aereo blu’”.
   Oltre alle immagini, si potevano sentire anche i lamenti dei passeggeri per il ritardo.
   La mamma e il papà di Giulia, come anche la professoressa rimasero a bocca aperta.
   Non sapevano cosa dire. Giulia non mentiva. Semplicemente spiegava le cose a modo suo.
   “Cosa volevi dire, allora, quando hai raccontato del giorno che all’improvviso si è fatto notte?” chiese la professoressa.
   “Che c’è stato un eclisse di sole”.
   “E quando hai parlato del crollo della strada?”.
   “Un terremoto, direi”.
   “Capisco” disse la professoressa.
   “E il coccodrillo?”.
   “Il coccodrillo era davvero un coccodrillo con la voglia di ballare”.
   Né la mamma né la professoressa sapevano cosa pensare, ma lasciarono correre.
   Da quel giorno in poi, nessuno si arrabbiò più con Giulia per i suoi ritardi, perché tutti sapevano che lei diceva sempre la verità, ma raccontandola a modo suo.
   In ogni caso, lei non si preoccupò più di non fare tardi, perché aveva capito che andare sempre di fretta è molto stressante.

* Ringrazio Giulia Sperini per le correzioni della versione italiana

[ES]
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Érase una vez Julia.
Julia era una chica normal, excepto por una cosa.
Siempre llegaba tarde, siempre, siempre, siempre ...
Este hecho era casi un escándalo para su familia, ya que todos eran puntuales.
Su padre era tan puntual como un reloj suizo, por lo que siempre hacía "cucú".
Pero lo que más enojaba a la gente que conocía a Julia eran las excusas que ella daba cuando llegaba tarde, ¡había cientos de ellas!
Podía decir, por ejemplo: "Hoy llegué tarde porque, según caminaba, a la tierra le entró hipo y el tráfico se interrumpió".
O bien: "Hoy llegué tarde porque el universo se volvió loco y el día se hizo noche, así que no podía ver nada ..."
O todavía: "Hoy un cocodrilo se bajó de un autobús y se puso a bailar en medio de la calle, así que hubo un atasco gigante... "
En casa, le dijeron que no podía continuar así, que la puntualidad era una característica de la familia, porque todos, no solo el padre que hacía "cucú ", sino todos, eran conocidos en la ciudad por ser la familia más puntual.
─ Si llegas tarde ─explicaba la abuela Bernardina─, haces que aquellos que te esperan crean que no les importa.
No es verdad, abuela ─se quejó Julia─. Yo no llego tarde porque quiero.
Y en el instituto ...
Allí era aún peor.
La profesora Findelmundo no hacía más que castigar a Julia por sus constantes retrasos.
¡Nunca serás un adulto serio si no llegas a tiempo! ─le decía a menudo.
Pero si no es mi culpa, profesora ─se disculpaba─. Hoy, por ejemplo, no llegué a clase a tiempo porque el cielo se cayó sobre la tierra ...
Si tuvieras tanta seriedad como imaginación, serías la mejor estudiante del instituto ─acababa siempre diciendo la profesora Findelmundo.
La pobre Julia estaba bastante triste.
Nadie se creía las razones que ella daba.
Todos creían que estaba llena de fantasía, ¡pero no era cierto!
¡No llegaba tarde por gusto!
En cualquier caso, la profesora Findelmundo llamó a los padres de Julia.
Señor y señora García ─les dijo─, creo que todos estamos muy preocupados por su hija, que siempre llega tarde, ¿no es así?
La mamá simplemente dijo "sí" y el papá hizo "cucú".
De todos modos, les sugiero que descubran lo que realmente sucede con su hija ─explicó la profe a los padres─. Tengo un plan, pero para desarrollarlo necesitaré su ayuda.
¿De qué se trata? ─preguntó la mamá.
Coloquen una microcámara en el gorro de lana de Julia para ver cuáles son las verdaderas razones por las que siempre llega tarde ─dijo la profesora sonriendo─. Así, nunca podrá usar una excusa absurda. ¿Qué les parece?
El papá hizo "cucú", lo que significaba que estaba de acuerdo.
Incluso a la madre le parecía una gran idea.
Así, hicieron lo que la profesora les dijo: pusieron una microcámara en el gorro de lana de Julia sin que la chica lo notara.
Y así pasaron tres días.
En tres días, Julia llegó tarde en tres ocasiones.
¿Por qué te has llegado tarde, hija? ─preguntó su madre.
Julia explicó:
─ La primera vez, un dinosaurio me preguntó la hora, pero como estaba muy sordo, no me oía, así que lo acompañé a la plaza mayor para que pudiera ver el gran reloj.
»La segunda vez ─continuó la niña─, la tierra se tiró un pedo horrible y la calle se elevó unos metros. Así que cortan la circulación, incluso para los peatones. Todos estábamos muy asustados.
»Y la tercera vez, el avión azul llegó tarde, así que no pude llegar a clase a tiempo.
La mamá estaba muy enojada, y encima decía que había ido a clase en un avión azul, no rojo, verde o amarillo, sino azul ...
Tenía que reconocer que la fantasía de su hija llegaba a extremos increíbles.
Sin decir una palabra, tomó a su hija del brazo y ambas se fueron donde la maestra.
Aquí estamos ─anunció la señora García─. Ahora podremos ver por qué mi hija llega tarde.
La mamá entregó una memoria USB a la profe, que enseguida la metió en la computadora.
Enseguida empezaron a ver las imágenes grabadas con la cámara secreta.
Primero, vieron a un hombre vestido con un disfraz de T-Rex que iba al carnaval y que se dirigía a Julia.
Pero no oía nada con ese disfraz puesto, así que la muchacha, de hecho, lo acompañó a la plaza mayor para que viera la hora en persona.
Luego, mientras Julia caminaba tranquilamente por la acera, se produjo una explosión de gas subterráneo.
Todo el piso voló y quedó un bonito agujero.
Inmediatamente llegó la policía a poner orden.
Finalmente, pudieron ver a Julia en la parada del autobús.
Después de bastante rato, llegó el autobús, que tenía escrito en su lateral: compañía de autobuses 'El Avión Azul.
Las quejas de los pasajeros también se hicieron sentir por el retraso.
La madre y la maestra se quedaron boquiabiertas.
No sabían qué decir.
Julia no mentía.
Solo explicaba las cosas a su manera.
¿Qué quisiste decir cuando de repente se hizo en la noche? ─preguntó la profesora.
Que hubo un eclipse de sol.
¿Y el hipo?
Un terremoto, diría yo.
Entiendo ─dijo la profesora.
─ ¿Y el cocodrilo?
─ El cocodrilo era realmente un cocodrilo con ganas de bailar.
Ni la madre ni la maestra sabían qué pensar, pero lo dejaron correr.
A partir de ese día, ya nadie se enojó con Julia por sus retrasos, porque sabían que ella siempre decía la verdad, aunque la contaba a su manera.
En cualquier caso, no se preocupaba demasiado por llegar tarde, porque ir siempre rápido es muy estresante.
© Frantz Ferentz, 2018

domingo, 4 de noviembre de 2018

EL PEDO DE ORIGEN DESCONOCIDO

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  Todo ocurrió de repente.
  Sin aviso.
  Los estudiantes de la clase estaban concentrados en una tarea que la profe Celia acababa de encargarles.
  Por eso, cuando unos cuantos estudiantes se pusieron a hacer "snif-snif", además de oler aquel pedo inesperado, olieron la tragedia.
  – Alguien se ha tirado un pedo –sonó una voz al fondo de la clase.
  La profe Celia se horrorizó.
  Los estudiantes cesaron su tarea y empezaron a oler.
  – Tiene olor afrutado –dijo Basilio.
  – Con toques de nata –añadió Amelia.
  – Y matices de cebolla caramelizada... –concluyó Petra.
  Aunque no lo parezca, aquellos estudiantes tenían un olfato propio de somelieres.
  Pero quien estaba paralizada por el miedo era la profe Celia, porque aquellos estudiantes habían descrito, sin saberlo, su desayuno: hamburguesa con cebolla caramelizada, bollos de nata y algo de fruta.
  Claro que estaba aterrorizada.
  ¿Y si los estudiantes averiguaban que había sido ella quien se había tirado el pedo?
  Por eso, la profe Celia empezó a actuar:
  – ¿Quién ha roto la regla de que en la clases no se tiran pedos?
  Silencio.
  Nadie habló.
  – ¿Es que nadie va a reconocer que ha roto la regla 12/34b sobre producción de olores de origen intestinal?
  Más silencio.
  La profe comenzaba a respirar tranquila, a pesar del olor de su propio pedo, que aún flotaba en el ambiente.
  ¡¡Nadie podría descubrir que ella se había tirado aquel pedo!!
  Si lo supieran, perdería toda su autoridad, ¿cómo les diría "no os tiréis pedos", cuando ella era la primera que los tiraba?
  Por suerte, parecía que nadie en la clase sospechaba de ella.
  De hecho, se miraban entre ellos tratando de descubrir quién era el causante de aquel gas intestinal, cuyos efectos aun perduraban.
  Sin embargo, la profe Celia tenía que mantener el teatro para disimular, si no, no se entendería por qué justo entonces no actuaba como había actuado en otras ocasiones, cuando algún estudiante se había tirado un pedo.
  – Conque, ¿no sale el responsable del pedo? ––dijo con voz muy seria.
  Silencio.
  – Estáis todos castigados sin recreo una semana.
  Murmullos de desaprobación.
  Quién se había tirado aquel pedo tan extraño, se preguntaban todos.
  En ese instante sonó la campana que anunciaba el fin de las clases.
  Todos fueron saliendo cabisbaixos.
  Solo se quedó Calima, que se acercó a la profesora.
  – Profe –le dijo mientras Celia recogía sus cosas en una carpeta–. Yo sé que el pedo es cosa suya.
  – ¿Qué andas diciendo? –preguntó Celia muy nerviosa.
  – Que usted se ha tirado el pedo.
  Celia se quedó inmóvil y sin palabras. 
  Pese a todo, quiso aún mantener el tipo.
  – Esa es una acusación muy grave y serás castigada por eso.
  – Déjelo. Ese pedo es suyo. Yo tengo anotados los olores de los pedos de todos los estudiantes de esta clase y ese olor no es de ninguno de nosotros.
  Celia no podía creer lo que oía, pero Calima sacó una libreta y fue señalando cómo olían los gases intestinales de su respectivos compañeros de clase.
  – ¿Sabe qué? –prosiguió Calima–. Siempre me dijeron en casa que los profes son nuestro modelo, pero yo aquí no veo ejemplo alguno...
  Celia tragó saliva.
  – Pero de todo lo malo, pode salir algo bueno. Escuche mi propuesta...

***

  Cuando al día siguiente, los estudiantes entraron en clase, se encontraron un rincón nuevo. 
  De hecho, era un espacio cerrado con cortinas de ducha, sostenidas con una barra también de ducha, encima de la cual dicia: «Sala de génesis de gases».
  Contaba, además, con un viejo extractor de gases que aún funcionaba.
  – Pero, ¿qué es esto? –preguntó Petra.
  – Es la sala de los pedos –explicó Calima–. Se acabó la limitación de tirarse pedos en clase. Hay un lugar específico donde podemos ir a tirarnos pedos, ya no tenemos que aguantarnos las ganas.
  Aquella noticia fue recibida con un "hurra", y después con otro, cuando a los estudiantes les anunciaron que el castigo de una semana sin recreo se retiraba...
  Desde entonces, ya nadie tuvo que aguantarse las ganas de tirarse pedos en el aula, solo tenían que ir a la sala de génesis de gases, como la llamaban, y liberar su intestino a gusto.

© Frantz Ferentz, 2018

viernes, 2 de noviembre de 2018

HONZA Y EL TOPO GIGANTE


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    Honza corría todo cuanto podía por el bosque.
  Aquella extraña criatura había roto la pared de su cabaña como si fuera de papel, auque fuera de pino macizo.
   Sus garras casi que lo habían alcanzado, pero Honza había conseguido escapar por un pelo.
   Antes de huir, notó que el monstruo era un topo gigante.
   Era, por tanto, ciego, pero tenía un sentido del olfato impresionante.
   Quizá se hubiera enfadado porque Honsa había construido su cabaña justo encima de su galería de túneles.
   La cuestión era que aquella bestia lo perseguía sin piedad.
   Debía medir cerca de ocho metros de largo.
   No había árbol que lo detuviera, se llevaba todo por delante, sin dejar de gruñir.
   Honza no sabía hacia dónde correr, el bosque era enorme, aquella bestia le iba a dar alcance.
   Estaría perdido en cuestión de minutos.
   Hasta que vio aquella luz en medio de la noche.
   Probablemente era otra cabaña.
   Corrió hacia ella.
   Durante unos segundos, el topo se enredó en unas zarzas.
   Eso le permitió ganar unos segundos.
   Llamó a la puerta de la cabaña.
   "¡Ayuda!", gritó.
   La puerta se abrió.
   Una mujer con greñas de bruja abrió.
   "Ayuda, me persigue...", empezó a explicar Honza.
   "... el topo gigante", concluyó la mujer. "Rápido, quítate la camisa".
   "¿Que me quite la camisa?"
   "No me repliques", dijo la mujer un tono imperativo.
   Honza, a pesar del frío que sentía, se quitó la camisa.
   La mujer con cabellos de bruja hizo una pelota con ella y la lanzó por la trasera de la casa, haciendo que rodara por la ladera de la montaña abajo.
   El topo pasó al lado de la cabaña y siguió el rastro de la camisa, gruñendo furioso y mostrando sus temibles garras.
   "Gracias", dijo Honza. "Me salvaste la vida".
   "Por esta vez", dijo la mujer, "pero el topo gigante volverá, a menos que utilices el único repelente que existe".
   "¿De qué se trata?", preguntó él.
   "Hay algo que funciona muy bien, porque hace que pases desapercibido para los topos gigantes".
   "¿Y cómo se llama ese producto?"
   "Desodorante. Se aplica aquí, en el sobaco".

© Frantz Ferentz, 2018

lunes, 10 de septiembre de 2018

LAS DESVENTURAS DE TARÁNTULO Y NAFTALILLA

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En el suelo hay una pelota olvidada de plástico del tamaño de un puño.
De repente, en la oscuridad de la habitación, la esfera parece tomar vida y comienza a moverse.
Sin previo aviso, la pelota rueda por el suelo. CLON, CLON, CLON.
Poco a poco, la pelota llega hasta el hocico de Catapulgas.
Catapulgas es el perro de la casa.
Por lo general, está muy tranquilo y no hace más que descansar acostado.
Es que no hacer nada lo cansa mucho.
PLINK.
Catapulgas se despierta con el golpe de la pelota de plástico en su nariz.
¡Qué ganas de incordiar a un perro honesto!
Intenta atrapar la pelota con la boca, pero es demasiado grande.
Por eso, la empuja con el hocico hacia la puerta.
Luego, a través del agujero de la puerta, la echa con la pata.
Problema resuelto Catapulgas se queda allí mismo, al lado de la puerta.
Ya se ha cansado para todo el día y tiene que recuperar el aliento.
Ronca ya tranquilo: GHFFF, GHFFFF, GHFFF ...
Cuando la bola de plástico, que es amarilla, ya está fuera, se pone a rodar.
Rueda sola
¿Cómo es posible?
¿Será magia?
¿Tendrá un motor dentro?
ÑIGUI, ÑIGUI, ÑIGUI ...
Justo entonces, dos rufianes, Tarántulo y Naftaliña pasan por la calle.
Tarántulo es gordo como un tonel, con un abrigo negro y cuatro brazos.
¡Da mucho miedo!
Naftalilla es toda redondita, de cuerpo, brazos y piernas.
Pero no da miedo.
Sin embargo, Tarántulo y Naftalilla son una extraña pareja que roba todo lo que encuentran y estafan casi todos los días.
Tan pronto como ven la pelota amarilla rodar por la calle, piensan que debe ser algo valioso.
Las cosas no se mueven solas, a menos que estén vivas, o que alguien las mueva o que sean mágicas.
Ambos quieren saber qué hace que la bola se mueva.
Y corren, a su manera, por la calle adelante.
Sin embargo, la pelota rueda muy rápida.
¿Cómo puede correr tanto?
¡Y lo más increíble es que no se tropiece con los pies de nadie, evita a todos!
Tarántulo y Naftalilla, sin embargo, van tropezando con con todo el mundo.
Tienen que disculparse por los empujones y los tropezones:
– Disculpe ... lo siento ... lo siento ... – van repitiendo cada dos pasos.
La bola amarilla llega hasta un paso de cebra.
El semáforo está en rojo para los viandantes.
Pero ella no pasa.
Espera pacientemente
¿Será magia?
Cuando el semáforo se pone verde, cruza la calle con el resto de los peatones.
Tarántulo y Naftalilla llegan al semáforo, pero están sin aliento de tanto correr.
De repente, el semáforo se cambia a rojo, no pueden pasar.
Pero ellos cruzan... ¡y organizan un jaleo espectacular, los cláxones suenan sin parar y los van a atropellar!
Afortunadamente para ellos, llegan al otro lado.
No se fijan en el caos que han dejado atrás, con tanto automóvil cruzado y conductor enojado.
Corren detrás de la pelota amarilla que parece no cansarse.
– Esa pelota debe tener una fuente de energía inmanejable –dice Tarántulo sin dejar de jadear.
Naftalilla está de acuerdo, pero por su boca no sale ni una palabra.
Ambos saben que, si la atrapan, serán ricos, porque venderán esa pelota por varios millones de euros.
De repente, aparece un enorme perro.
Más que un perro, parece un elefante, aunque sin trompa.
Se trata de un dogo y se queda mirando a la pelota que se detiene a sus pies.
El perro parece tener ganas de jugar y la pelota también.
El animal abre la boca y atrapa la pelota sin dañarla.
Tiene una boca tan grande que parece que dentro de ella se puede dormir una siesta.
A continuación, se pone a correr por la acera muy rápido, porque sus piernas son larguísimas.
Tarántulo y Naftalilla no pueden mantener ese ritmo.
Solo hay una cosa que pueden hacer para no perder el rastro de la bola amarilla y el perro.
Tarántulo pega un alarido (es lo que mejor sabe hacer) y para un taxi.
El taxista se detiene porque se ha llevado un susto de muerte con ese grito.
– Siga a ese perro –le dice al taxista.
El conductor siempre ha querido escuchar eso de "siga a este auto", pero no.
Para una vez que se lo dicen, le piden que siga a un perro.
El taxista obedece.
Teme que Tarántulo le suelte otro alarido y lo deje sordo.
El taxista es bizco.
Eso le permite tener un ojo en la calle y el otro en el perro que sigue corriendo por la acera.
El taxi se salta los semáforos en rojo.
Casi provoca accidentes, pero el miedo a los gritos de Tarántulo es mayor que cualquier otra cosa.
El dogo llega al borde de un estanque.
Se detiene.
Deja la pelota en el suelo.
La bola amarilla echa a rodar sola por la orilla.
Corre muy rápido sobre la hierba.
– Alto –ordena Tarántulo.
El taxista frena en seco.
– Son cuatro euros... –el taxista, aunque quiere cobrar la carrera, está muerto de miedo.
Sin embargo, tiene mucho miedo de que Tarántula le suelte otro grito de los suyos.
Pero no, es Naftalina quien mete la mano en un bolso y se saca una tarjeta.
Es su tarjeta profesional de rufiana, con su correo electrónico y su celular:

Naftalilla López.
Rufiana diplomada. Servicios completos y discretos.
naftalilla.la.flaquilla@mail.com

– ¿Sabe? Esto es mejor que el dinero –le dice con una sonrisa de oreja a oreja.
Tarántulo y Naftalilla dejan el auto.
Tienen que correr nuevamente.
Vale mucho la pena.
Están terriblemente cansados.
Ellos nunca corren.
Son rufianes, sí, pero su oficio no implica correr.
Mientras tanto, la pelota se desliza rápidamente a través de la hierba.
De repente, un niño que está jugando al fútbol no se fija en la pelota amarilla y le da una patada.
La pelota sale volando, hasta que cae nuevamente sobre la hierba.
Luego, sigue rodando, girando, rodando ...
Tarántulo está a punto de llorar.
Pero no lo hace porque no quiere mostrar sus debilidades ante su compañera.
Naftalilla piensa que si ella también se pone a rodar, tal vez irá más rápido.
Lo prueba.
Sí, Naftalilla rueda por la hierba.
Es más rápido y se cansa menos.
¡Hurra!
Para algo le tenía que servir estar hecha de bolas ella también.
Sin embargo, parece que ese día todo tiene que complicarse.
En el estanque viven pelícanos.
Los pelícanos son pájaros que tienen una bolsa en el pico.
Les gusta meter cosas allí.
Uno de ellos ve la bola amarilla rodar.
Se posa en el suelo y abre el pico ante a ella.
PLOM.
La pelota termina en la bolsa del pico.
El pelícano levanta el vuelo.
Se dirige a una isla en medio del estanque donde tiene el nido.
Quién sabe, tal vez la pelota sea comestible.
Tarántulo observa el panorama desesperado.
No, no no va a renunciar a la pelota.
Tienes que valer un dineral.
Mira a su alrededor.
Hay un lugar donde alquilan patines acuáticos.
Se dirige hacia allí, seguido por Naftalilla, que sigue rodando.
Tarántulo es un rufián de categoría.
Él no paga por usar un patín de agua.
Salta sobre el primero y empieza a pedalear.
Naftalilla llega rodando y se coloca detrás de él.
Ambos se alejan de la orilla moviendo los pedales.
Desde el embarcadero, la persona a cargo de los patines les grita, pero Tarántulo grita mucho más:
¡UAAAAAAAGHGHGH!
Es tan brutal que todos los pájaros de los alrededores se asustan y alzan el vuelo.
Los dos rufianes prosiguen su su viaje a la isla del centro del estanque, pedaleando pedaleando.
INGUI, INGUA, INGUI, INGA, INGUI, INGA...
¡Cómo cansa!
Logran llegar a la orilla.
Aquello está lleno de nidos pelícanos e incluso uno de pterosaurio, un dinosaurio volador, que la gente cree que se ha extinguido.
Mejor para él, porque así pasa desapercibido.
– ¿A dónde iría la pelota amarilla? –pregunta Naftaliña.
Ella sigue rodando.
Ha descubierto que le resulta mucho más ligero moverse así.
Pero nadie sabe dónde está la pelota amarilla.
Todo está lleno de polluelos de pelícano.
Pican en las patas de Tarántulo y Naftalilla, como si fueran comida.
No tienen que buscar mucho.
Enseguida encuentran la pelota amarilla.
Una hembra de pelícano está sentada sobre él, como si fuera un huevo.
Lo está incubando.
Los dos rufianes no saben qué hacer.
No se atreven a robarle un huevo a un pájaro.
Su experiencia como delincuentes nunca los ha llevado a situaciones como esa.
Sin embargo, el pelícano se levanta, da unos pasos.
En cuanto la pelota está libre, rueda.
Y corre, corre a lo largo del borde de la isla.
Los dos rufianes la persiguen.
También corre, o más bien vuela, el pelícano que cree que ese es su huevo.
Algunas aves necesitan gafas, porque andan fatal de la vista.
La carrera no dura mucho.
En ese momento, un cuervo se lanza en picado y captura la pelota con sus garras.
Luego, alza el vuelo y pone rumbo al parque.
La mamá pelícano parece desinteresarse por ese huevo ingrato.
Los dos rufianes, sin embargo, quieren perseguir al cuervo ladrón.
De repente, da un empujón a Naftalilla y la lanza al estanque.
Tal como suponía, es como arrojar neumáticos al agua.
Ella flota muy bien.
Pero no hay remos.
Tarántulo tiene que usar sus brazos como remos.
Afortunadamente, tiene cuatro, por lo que alcanza cierta velocidad.
No pierde de vista al cuervo, que va hacia la orilla.
Naftalilla no puede abrir la boca, porque le entra agua.
El cuervo llega a la orilla.
Se posa en la rama de un árbol al pie del estanque.
Pero parece que la pelota no quiere quedarse allí.
Se agita y se escurre de la garra del cuervo.
Cae al suelo.
Tarántulo le pone más empeño a remar.
También alcanzan la orilla.
La pelota parece indecisa, se mueve en círculos, es como si no supiera a dónde ir.
Los rufianes ya están en tierra.
Tarántulo salta sobre la pelota de plástico.
Casi puede tocarla.
Casi es suya.
Casi es rico ...
CATAPLOF.
El hombre choca contra algo blando.
Se pone de pie.
Es otro perro.
Es Catapulgas.
Pero el animal ya está muy cansado.
Su dueño lo obligó a seguir el rastro de la pelota.
Ahora se deja caer al suelo.
Toca descansar.
Y justo debajo está Tarántulo.
Atrapado.
El hombre no puede mover ni un músculo con el peso de la masa del perro encima.
Naftalilla observa que un niño recoge la pelota de plástico del suelo.
– Con que estabas aquí –dice el niño a la pelota–. No vuelvas a escaparte, ¿oíste?
El niño abre la pelota.
De ella extrae un hámster.
Es un animal delicioso, que agita los bigotitos con mucha gracia.
Dan ganas de darle un achuchón, pero Naftalilla es una tipa dura y tiene que guardar las formas.
Naftalilla intenta decir algo que suene a amenaza, pero aún no ha recuperado el aliento. Intenta decir algo, pero es solo le sale un susurro:
– Arigatoo furabolos parakaló.
El niño la mira, sonríe y le  dice:
– Lo siento, no hablo su idioma. Pregunta a un guardia.
Y se va de allí con el hámster en una mano y la bola amarilla en la otra.
¿Qué es de Catapulgas?
Catapulgas todavía tiene que descansar.
Su dueño le ha dado un par de euros para que se tome un taxi.
Y mientras tanto, Tarántulo solo puede ver cómo su compañera disfruta como una niña que rueda y rueda sobre la hierba mientras grita feliz:
– Con tantas carreras, hoy he perdido trescientos gramos, ¡hurrááááá!

© Frantz Ferentz, 2018